La storia di un coraggioso artigiano di Acireale. Ve la raccontiamo nel giorno dell’anniversario della morte di Libero Grassi.
ACIREALE – “Se potessi tornare indietro denuncerei subito”. Non si è mai voltato indietro. Anzi. È convinto della scelta che ha fatto un artigiano acese che però sceglie di rimanere anonimo. Due anni fa il commerciante è andato nello sportello antiracket Libera Impresa di Aci Catena ed ha incontrato Salvatore Strano. “Mi hanno detto che l’unica strada per uscirne era quella della denuncia”. E così ha fatto. Il racconto di dieci anni di inferno l’artigiano lo ha affidato ai carabinieri. E poi la costituzione di parte civile nel processo Aquilia, frutto di un’indagine che ha smantellato la cellula di Cosa nostra acese.
Tutto è iniziato circa dieci anni fa. “Ho trovato una lettera sotto la porta della bottega. ‘Trovati un amico o ti mettiamo una bomba’. Io – spiega a LiveSiciliaCatania – all’inizio non ho nemmeno capito la grafia che sembrava quella di un bambino, quindi ho strappato il primo foglio e ho strappato anche il secondo arrivato dopo qualche mese. Poi ne è arrivato un altro e questa volta l’ho fatto vedere a un mio cliente. E da lì è iniziato l’inferno, io non ho potuto lavorare più”. Il cliente è diventato quell’amico ‘buono’ che si è offerto di risolvere la questione. Così si sono presentate tre persone, che “conoscevo, perché ad Acireale in fondo ci conosciamo tutti”.
“Pretendevano che svolgessi lavori per loro. Che assumessi magari persone. E poi dovevo versare 1500 euro l’anno”. Una specie di regalo di Natale. “Quello era l’ultimo di problemi – spiega- ormai quella somma la consideravo come l’assicurazione del furgoncino. Ma sono iniziate le minacce di morte, perché non mi vedevano sottomesso abbastanza. Estorsioni, intimidazioni, aggressioni verbali. Non era più vita”. Poi però i tre sono stati arrestati. “Per un periodo non è venuto più nessuno. E mi sono sentito tranquillo, fino a due anni fa. Quando è arrivato un uomo che mi ha detto: “Sono qui per i 1500 euro”. Io ero un po’ arrabbiato e l’ho cacciato. Questo si è spaventato ed è andato via. Ma qualche giorno dopo è venuto in negozio un’altra persona, questa volta che conoscevo. Anche a lui ho detto di andare via. E l’ho anche minacciato di denunciarlo. Non è servito, perché è ritornato. A quel punto, e soprattutto per mio figlio, ho deciso di andare allo sportello di Libera Impresa. Ed ho denunciato”.
La vita dell’artigiano è cambiata. “Molti si sono allontanati, quasi come se fossi stato io a commettere un crimine. C’è anche stato chi mi ha detto che ho sbagliato a denunciare. Ho anche ricevuto una telefonata. Ma io, lo ripeto – dice in modo fermo e diretto – se potessi tornare indietro, denuncerei subito. Dovevo denunciare già dieci anni fa. Mia moglie è un po’ spaventata per nostro figlio, ma è normale è una mamma. Io e mio figlio invece non abbiamo paura”.
I tre uomini che si erano presentati la prima volta dieci anni fa sono tornati in libertà. “Li ho incontrati qualche volta”, dice. Ma il commerciante 51enne non ha mai avuto un minuto di ripensamento nemmeno quando ha rivisto quelle facce. “Oggi continuo a svolgere il mio lavoro senza catene. Sono uscito dall’inferno.
FONTE LIVESICILIA CATANIA
Scritto da Laura Distefano
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