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CATANIA – I due barellieri Agatino Scalisi e Davide Garofalo, finiti nella inquietante inchiesta battezzata “ambulanza della morte”, dovranno tornare davanti al Gup Giovanni Cariolo il prossimo 24 ottobre. Si è aperta nei giorni scorsi l’udienza preliminare che vede alla sbarra i due imputati accusati dal pm Andrea Bonomo di omicidio volontario ed estorsione aggravata dal metodo mafioso. Un’indagine che è scattata anche grazie alle dichiarazioni di due testimoni di giustizia. Nella scorsa udienza, intanto, sono state depositate le istanze di costituzione di parte civile da parte dei familiari di alcune delle vittime;

dell’ Azienda Sanitaria Provinciale, assistita dall’avvocato Carmelo Calì;

dell’associazione Antiracket Libera Impresa e del Comune di Biancavilla, entrambi rappresentati dall’avvocato Riccardo Frisenna.

“Un atto più che dovuto da parte nostra – ha commentato il Sindaco Bonanno – vogliamo che venga accertata ogni responsabilità. Vogliamo che venga fatta piena luce sull’intera vicenda”. Un accertamento della verità auspicato anche dal Commissario Straordinario dell’Asp di Catania, Giuseppe Giammanco. Il Gup deciderà sulle istanze di costituzione di parte civile nel corso della prossima udienza. Le eccezioni della difesa si sono concentrate sui capi di imputazione inerenti gli omicidi. Nella stessa data saranno formalizzate anche le scelte del rito da parte dei due imputati.

LE ACCUSE – “Una vita per poche centinaia di euro”. È questo il tratto più raccapricciante che viene fuori dall’inchiesta. Secondo la ricostruzione della Procura, tra il 2014 e il 2016, Garofalo avrebbe ucciso tre persone, Scalisi una. La tecnica, come rivelato da ‘Le Iene’, era quella di iniettare a pazienti terminali aria nelle vene mentre si trovavano all’interno delle ambulanze private, nel corso del tragitto dall’ospedale a casa. L’iniezione fatale avrebbe provocato ai pazienti il decesso per embolia gassosa. Gli imputati invece avrebbero convinto i familiari che invece si trattava di morte per cause naturali. L’obiettivo sarebbe stato quello di guadagnare i 200-300 euro che la famiglia gli avrebbe dato per la ‘vestizione’ della salma. Soldi che sarebbero stati poi divisi con i clan mafiosi di Biancavilla e Adrano.

Fonte: Livesicilia catania